C’era una volta un Re.
C’era una volta un Re molto addolorato per la morte di suo padre. C’era una volta un Re che, molto addolorato per la morte di suo padre, decise di fare qualcosa di importante perché i sudditi si ricordassero di lui.
Mandò a chiamare il Gran Ministro del Regno di cui aveva molta fiducia e gli disse: “Ho deciso di fare qualcosa per ricordare a tutti chi era mio padre, Re galantuomo”.
“È giusto, Sire” rispose il Ministro che sapeva bene che a Sua Maestà era molto gradito il suo parere.
“Vi occuperete voi della faccenda” disse ancora il Re “io sono troppo addolorato e ho la mente piena di scuri pensieri!”
“Capisco, Sire. Ma che genere di ricordo avete in mente” chiese il Ministro confuso. “Un poema? Un dipinto? Una festa con canti e musiche?”. “Voglio un ricordo” disse il Re “semplicemente un ricordo capace di scacciare gli scuri pensieri!” “Lo avrà, Sua Maestà” disse il Ministro che in cuor suo non era affatto sicuro di riuscire in quell’impresa. Il Gran Ministro per tre notti non dormì e per tre giorni nessuno lo senti pronunciare una sola parola. All’alba del quarto giorno mandò a chiamare il Gran Ciambellano e gli ordinò: “Voglio che metti al lavoro tutti, ma proprio tutti gli artisti del regno”. “Tutti gli artisti?” “Tutti gli artisti. Pittori, scultori, architetti, musicisti, poeti, letterati e persino i filosofi” disse il ministro “perché per me il pensiero è un’arte!” “Sarà una cosa complicata” disse il Ciambellano con un filo di timore. “E questo non è che l’inizio” rispose il Ministro del Regno che aveva quello sguardo degli uomini che guardano avanti giorni, mesi e anni. “E?” chiese timido il Ciambellano “posso sapere cosa dovranno fare tutti questi artisti?” “Portarmi un’idea dolce che scacci gli scuri pensieri.” “Tutto qui?” “Tutto qui!”. Dopo tre mesi il Gabinetto del Gran Ministro fu pieno colmo di romanzi, poemetti, spartiti musicali, tele con dei bozzetti, lettere e schizzi dei più strani progetti. Il Gran Ministro dopo aver esaminato attentamente tutti quei lavori scelse un minuscolo disegno. Un disegno tracciato a matita firmato da Mastro Giuseppe.
C’erano scalinate, c’erano colonne, c’era un uomo a cavallo e una donna con le ali. C’era qualcosa di luminoso in quel disegno, come uno spiraglio di luce dentro gli abissi della notte più buia. Poi, sopra il colonnato c’era quella scritta: “bianco, liscio, dolce”. E sotto, in basso vicino alla firma: “Capo di Calco, Statuaria, Botticino”. “Preparatemi le valige,” disse il ministro al Ciambellano “si parte per Capo di Calco”.
“Domattina sarà tutto pronto per la partenza” disse il Ciambellano. “Domattina è troppo tardi” rispose il Ministro. “Si parte tra due ore. Avvisate anche Mastro Giuseppe. Verrà con noi”. Il viaggio per Capo di Calco fu abbastanza lungo e accidentato. La delegazione reale dovette cambiare tre treni e fare un ultimo tratto in carrozza.Mastro Giuseppe ebbe tutto il tempo di spiegare il suo progetto al Gran Ministro che si limitò più volte a rispondere: “capisco!” senza aggiungere altro. Il Gran Ministro, il Ciambellano, Giuseppe e il Portantino giunsero a Capo di Calco all’imbrunire.
“E’ bene che ci occupiamo di trovare un alloggio per stanotte” disse il Ciambellano. “E’ bene che TU ti occupi di trovare un alloggio” precisò il Ministro “noi abbiamo da lavorare”.
Mastro Giuseppe, come ogni buon artigiano che si rispetti fu contento di quella risposta. L’idea di fare subito qualcosa di utile per cominciare a dare vita al suo progetto era più forte di qualunque stanchezza. Il piccolo gruppetto si divise e, mentre il Ciambellano e il Portantino si misero alla ricerca di un albergo degno di una delegazione reale, gli altri due vagarono un po’ per le vie del paese fino a che il Gran Ministro si fermò all’esterno di un negozio.
“Eccoci arrivati!” disse.
L’insegna in ferro battuto che sovrastava lo stipite della porta diceva “PREMIATA PASTICCERIA DIGESSI”.
“Ma è una pasticceria” disse deluso Giuseppe.
“Lasci fare a me!” disse il Ministro.
Entrarono.
“Vorrei parlare con il titolare” disse il Ministro.
“Sono io” rispose un uomo con le guan- ciotte lucide come una ciliegia.
“Ho una commessa impegnativa da darvi” fece ancora il Ministro “voglio una torta.” “La mia specialità” disse rubicondo il signor Digessi.
Mastro Giuseppe guardò il Ministro con la faccia di uno che chiede spiegazioni. L’altro ricambiò con la faccia di uno che le spiegazioni le rimanda a più tardi. “Una torta per qualcuno di molto importante.”
“E chi sarebbe questo qualcuno?” “E’ un segreto che non posso rivelare” disse ancora il Ministro.L’altro rimase sul chi vive. Aveva in testa mille domande e non sapeva da quale cominciare. Il Ministro lo anticipò. Gli porse il foglietto con lo schizzo di Mastro Giuseppe, che ebbe un sussulto all’idea che un pasticcere mettesse le sue manacce
unte di crema sul suo prezioso lavoro. “Voglio una torta così fatta” disse il Ministro indicando il foglietto che l’uomo teneva tra le mani “ma dovrà
essere un dolce che scacci gli scuri pensieri!” L’altro non fiatò. “Pensate di essere in grado?”. “Non vi deluderò” disse il pasticcere “sarà una
torta bianca e dolce come le pietre delle nostre montagne.” “Iniziate subito, dunque!”
“Vi costerà 200 corone!” “Ne avrete il doppio. A lavoro
concluso.” Ciò detto il Ministro uscì dal negozio. Mastro Giuseppe guardò il pasticcere e gli disse “mi raccomando, abbiate cura di quel foglietto!” Quattro giorni dopo la torta fu pronta. Era magnifica. Bianca come la neve. Le colonne, le scale, l’uomo a cavallo.Quel pasticcere aveva fatto un lavoro perfetto. Un dolce perfettamente identico al disegno di Mastro Giuseppe. Ottenne le sue 400 corone e chiuse la serranda. “Per quest’anno ho lavorato abbastanza” disse a un paio di clienti che rimasero
fuori dal suo negozio col naso all’insù e la bocca amara. La torta fu caricata sulla carrozza con tutte le cure del caso e iniziò il suo viaggio verso la capitale del regno assieme a un portantino stanco, un ciambellano scocciato, un Mastro confuso e un ministro radioso. “Quel dolce magnifico scaccerà gli oscuri pensieri
del Re” disse. “È sicuro che sia opportuno, signor Ministro, in questo momento di dolore...” disse il Ciambellano che di cerimonie se ne intendeva. “Il mio disegno non era per una torta!” si lagnava Mastro Giuseppe. “So quel che faccio” rispose risoluto il Ministro che aveva di nuovo quella sua aria sognante di chi guarda avanti giorni, mesi, anni. L’umore del Ministro cambiò profondamente quando la delegazione arrivò nella capitale. Nonostante la torta fosse stata trasportata con cura e messa immediatamente nelle cantine imperiali, il suo aspetto era profondamente cambiato.Un paio di colonne avevano ceduto, molti fregi ornamentali erano scomparsi e la donna con le ali era diventata un indistinto mucchietto di panna montata. “Come posso fidarmi degli uomini di Capo di Calco” disse il Ministro al Ciambellano “se il loro miglior artigiano fallisce su una banalissima torta!”
“Meglio così” disse il Ciambellano “non credo che... ehm, mi perdoni la franchezza, Signor Ministro, non credo che Sua Altezza avrebbe apprezzato una sorpresa del genere in questo momento.” “Datela in pasto ai cani” disse furibondo il Ministro “si parte per Statuaria!”
Il viaggio verso Statuaria fu complicato come quello per Capo di Calco, reso ancora più pesante dai malumori della delegazione. Giunti in città verso sera il Ciambellano e il Portantino si recarono senza dire una parola a cercare un alloggio, mentre gli altri due si diressero verso la più rinomata pasticceria della città. La PREMIATA PASTICCERIA VENATI.
“A cosa devo la visita di codesti forestieri?” disse il titolare della bottega quando il Ministro e Mastro Giuseppe fecero suonare il campanello della porta d’ingresso. “Ho una commessa impegnativa da darvi” disse il Ministro. “Parlate, dunque!” “Voglio una torta”. “È capitato nel posto giusto” disse in tono
spiritoso il signor Venati. Mastro Giuseppe nemmeno fiatò. La delusione,
ormai, per il fatto che il suo progetto così ambizioso venisse usato per confezionare una torta lo aveva
reso di umore nerissimo. “Una torta per qualcuno di molto importante”
disse il Ministro. “E chi sarebbe questo qualcuno?”.
“È un segreto che non posso rivelare”. “Spiacente, Signore, ma qui si lavora ad arte e senza precise informazioni
non mi è possibile eseguire un lavoro eccellente!” A questo punto, per accorciare la sofferenza di una pantomima che aveva già vissuto, Giuseppe trasse di tasca il suo schizzo e lo porse al pasticcere senza curarsi del fatto che avesse o meno le mani unte di crema.
“Voglio una torta così fatta” disse il Ministro indicando il foglietto che l’uomo ora teneva tra le mani “ma dovrà essere un dolce che scacci gli scuri pensieri!” “Bellina” disse il pasticcere facendo sussultare Mastro Giuseppe. “Pensate di essere in grado?”
“State scherzando?” disse il pasticcere. “Sarà una torta bianca e solida come le pietre delle nostre montagne.” “Iniziate subito, dunque!” “Vi costerà 400 corone!”
“Ne avrete il doppio. A lavoro concluso.” Ciò detto il Ministro uscì dal negozio preceduto da Mastro Giuseppe. Tre giorni dopo la torta fu pronta. Era una meraviglia. Bianca come la neve. Le colonne, le scale, l’uomo a cavallo. Lo schizzo era stato riprodotto con una tale cura di particolari che persino Mastro Giuseppe accennò un debole sorriso.
Quel pasticcere aveva fatto un lavoro sublime. Ottenne le sue 800 corone e chiuse la serranda. “Si va in vacanza, moglie mia, prepara le valige” disse, senza badare ai clienti che protestavano per avere almeno qualche pasticcino al cioccolato. La torta fu caricata sulla carrozza con maggior attenzione della scorsa volta e iniziò il suo viaggio verso la capitale del regno assieme a un portantino stanchissimo, un ciambellano assai scocciato, un Mastro sempre più confuso e un ministro radioso. “Quel dolce magnifico scaccerà gli oscuri pensieri del Re” disse il Ministro. “Continuo a pensare che in momenti del genere il protocollo consiglierebbe di approntare ben altre cure per Sua Maestà” disse il Ciambellano che di cerimonie se ne intendeva. “Posso almeno dirvi a cosa sarebbe servito quel disegno?” chiese Mastro Giuseppe. “Non ora, non ora” rispose eccitato il Ministro che aveva di nuovo quella sua aria sognante di uno che guarda avanti giorni, mesi, anni. Questa volta la torta si mantenne, nonostante il viaggio. “Abilissimi questi artigiani di Statuaria” disse il ministro “un po’ cari, forse, ma abilissimi!”Quando la torta fu portata al cospetto del Re c’era una grande tensione nella sala del Gran Consiglio. Tutti, eccetto il Ministro, pensavano che il Re, di umore già nero, si sarebbe arrabbiato moltissimo per quella trovata irrituale e fuori luogo. Tutti pensavano che l’avrebbe considerata un’offesa alla memoria di suo padre, il Re galantuomo.
Il Ministro, con un cenno della mano, diede ordine al Ciambellano di sollevare l’enorme coperchio che nascondeva la torta agli occhi del sovrano. Nella sala del Gran Consiglio nessuno fiatava. Si poterono udire i tarli che rosicchiavano le travi del soffitto.
Il Re stette immobile con quella faccia triste che aveva da giorni davanti a quello strano monumento. Corrugò le ciglia. Ma poi, la bellezza e la lucentezza di quel pezzo lavorato di dolce bianco cominciò a entrargli negli occhi e a trasmettersi, per conduzione o simpatia, sul viso regale. “Un’idea capace di scacciare gli scuri pensieri!” disse coraggiosamente il Ministro. Il Sovrano si avvicinò al Ministro. Lo guardò per un bel po’ di tempo e poi disse: “Che dovrei fare io con te?” “Mangiare la torta” rispose il Ministro. Il Re, tra lo stupore generale, gli sorrise e lo accarezzò. Poi si accomodò al tavolo, si fece passare le posate e tagliò personalmente una fetta di torta.
Il dolce era talmente bianco che restituì la luce al suo viso oscurato dal dolore per la morte dell’adorato padre. Sorrise.Per un attimo il Re sorrise e stava per assaggiare un primo boccone di torta quando i suoi occhi caddero su una striatura grigia nella fetta che teneva sulla forchetta. “Anche questa magnifica torta” disse tornando di nuovo triste “come la felicità di questo regno è venata da imperfezioni che rendono tutto vano.”
Detto questo il Re allontanò la torta da sé e si ritirò nei suoi appartamenti. “Maledizione” disse il Gran Ministro osservando da vicino quella striatura di grigio. Ma presto si riebbe e ordinò: “Le valige! Si parte per Botticino!”
Anche a Botticino il Ministro si recò nella più nota pasticceria del paese. Era gestita da due soci: uno aveva magnifici baffi a manubrio, l’altro invece no. Anche loro gli dissero che avrebbero fatto una torta identica al disegno e abbastanza resistente da sopportare il viaggio. Alla precisa richiesta da parte del Ministro che il dolce fosse di un bianco candido senza il minimo segno di imperfezione, il pasticcere, Mastro Massardi, aveva risposto: “Candido, liscio e resistente”.
“Come il marmo delle nostre montagne” aveva aggiunto il suo socio Gaffuri. La torta fu pronta in due giorni, ed era stupefacente. Il Ministro fu sorpreso del fatto che quei due non vollero più di 200 corone, di 150 che gliene avevan chieste. Meno della metà degli altri due. Inoltre i soci non chiusero la serranda e continuarono il loro lavoro. “Vi aspetto altre volte” disse con le mani sui fianchi sulla soglia della propria bottega Mastro Massardi.
“Se sarete stato contento!” aggiunse il Gaffuri. La torta di Botticino resistette al viaggio e fu messa, splendida e bianchissima di nuovo al cospetto del Re. Il sovrano, però, non aveva più una disposizione d’animo favorevole a fare un tentativo che già era andato fallito. Il Ministro sapeva che, questa volta, non avrebbe più avuto il vantaggio dell’effetto sorpresa e sapeva anche che il fallimento gli sarebbe costato, oltre che l’infelicità del Re, anche il suo posto di Ministro. Tutto si svolse più in fretta ma nella stessa tensione della settimana prima. Nessuno fiatò. Il Re sapeva cosa il Ministro voleva da lui e il Ministro, a sua volta, ritenne superfluo qualsiasi invito. La torta venne scoperta. La lucentezza fece la stessa magia che già aveva fatto il dolce di Statuaria.
Il viso del Re si addolcì. Negli occhi tornò un po’ di luce e senza troppe cerimonie il Sovrano incise la scalinata bianca per prelevare una fetta di torta. Anche all’interno il dolce aveva il candore della neve fresca di alta montagna.
E proprio come succede quando un bambino trova il gusto di calpestare dove nessun altro ha calpestato prima, il Re si mise a incidere altre parti del dolce. Prima una, poi due, poi una terza.
Ci fu un punto in cui il colonnato era talmente solido che dovette chiedere aiuto al Ciambellano che infilò a sua volta il coltello e produsse un solco facendo leva col peso del suo corpo.
Per quanto il Re tagliasse e scavasse non riuscì a trovare una sola imperfezione a quel bianco irresistibile. “Che candore” disse a un certo punto “una
felicità senza una sola macchia. Come al mondo non ce n’è!” Sua Maestà assaggiò il dolce di Gaffuri e Massardi e ritrovò l’allegria. “Ora che il nostro Sovrano ha ritrovato il buon umore” disse il Ministro “si parte per Botticino!” A momenti il Ciambellano non sveniva. Il vero lavoro era solo all’inizio. L’indomani la delegazione reale al completo si ritrovò nella bottega della PREMIATA PASTICCERIA GAFFURI E MASSARDI. “Ben tornati” disse Gaffuri. “Un’altra torta?” chiese il socio Massardi. “No!” disse il Ministro “magari un pasticcino, ma più tardi”. “In cosa possiamo esservi utili, allora?” chiese Gaffuri. “In cosa?” ribadì Massardi. “Ci avete fatto un dolce resistente e bianco come le pietre delle vostre montagne”. “Com’è vero Dio” rispose il primo. “Perfetta come il nostro marmo” disse il secondo.
“Possiamo vedere dove sta questo marmo?” chiese il Ministro “abbiamo da fare un monumento per il Re galantuomo.” A quel punto anche Mastro Giuseppe capì. E, finalmente, sorrise.